Lavoro a distanza e Smart Working: quali le differenze e come arrivarci

Donna Al Lavoro Sul Divano Con Bambino Che Gioca

Volere o volare l’obbligo di lasciare a casa i lavoratori che non avevano l’assoluta necessità di recarsi sul posto di lavoro ha comportato cambiamenti che non si erano riscontrati in anni di contrattazione in materia di lavoro agile tra organizzazioni datoriali e rappresentanti dei lavoratori, ovvero sindacati (RSA/RSU) e comitati aziendali.

Diversamente, per molti lavoratori a contratto del settore informatico (freelance) il lavoro a distanza è una pratica in vigore da tempo, ben prima dello scoppio della pandemia, sia per motivi strettamente economici sia per la natura stessa del rapporto di lavoro.

Non essendoci vincoli di controllo, questi rapporti si basano sul rispetto del raggiungimento di obiettivi di produzione, ma sono anche completamente slegati dall’organizzazione del datore di lavoro che non ha alcun obbligo nei confronti del freelance se non quello di corrispondere i corrispettivi dovuti. Ma non è a queste tipologie di lavoratori che ci riferiamo quando parliamo dei favori incontrati dal lavoro a distanza, perché in questo caso non si è registrata una variazione legata all’arrivo della pandemia bensì la continuazione di uno stato di fatto.

In una fase in cui le parti datoriali ed i sindacati si confrontano sull’opportunità di trasformare l’esperienza legata al lockdown in una forma di lavoro soggetta a nuove regole da stabilire di comune accordo, coinvolgendo anche le relazioni tra i singoli lavoratori e le rispettive organizzazioni, si è cominciato a tirare un bilancio dei mesi trascorsi.

Il lavoro a distanza è cominciato come conseguenza del lockdown a febbraio 2020 e, seppure con un graduale ritorno al lavoro in presenza, prosegue tuttora per alcuni milioni di lavoratori. Ma se dapprima si è trattato di vera emergenza e dunque di un’imposizione senza alternative, con il passare del tempo si è compreso che potesse diventare per molti un’alternativa praticabile.

Secondo il rapporto ISTAT 2020, nel periodo di confinamento a casa i lavoratori in modalità remota hanno superato largamente i 4 milioni, con la possibilità che in prospettiva la quota potesse raddoppiare sino a coinvolgere un terzo circa dei lavoratori complessivi, per poi ridiscendere a circa 7 milioni con la riapertura delle scuole ed il ritorno degli insegnanti al lavoro in presenza.

Lavoro a distanza: gli effetti riscontrati

Ma quali sono stati gli effetti che il lavoro a distanza ha prodotto per i lavoratori e per i datori di lavoro? Cominciamo dagli effetti per i lavoratori; tra quelli positivi: il recupero dei tempi di spostamento casa-lavoro con la conseguente possibilità di dedicarsi ad attività domestiche solitamente concentrate nel fine settimana e la possibilità (per qualcuno ma non per tutti) di riorganizzare i tempi di lavoro secondo le esigenze personali. Tra gli effetti negativi: la difficoltà di isolarsi e concentrarsi sul lavoro quando la presenza dei figli in casa richiedeva (richiede) attenzione e la mancanza di:

  • spazio fisico (non tutti hanno la fortuna di avere una casa grande a sufficienza da offrire spazi organizzati per il lavoro d’ufficio),
  • una dotazione tecnologica adeguata (rete Internet veloce, monitor adeguati, sedute ergonomiche, stampante multifunzione con scanner, ecc.),
  • contatti sociali (per un po’ l’essere confinati a casa funziona, ma poi si comincia a sentire la mancanza delle conversazioni con i colleghi alla macchina del caffè e della routine quotidiana, compresa la comodità di consumare un pasto preparato al bar, al ristorante aziendale, nel locale abituale o magari consegnato in ufficio dai servizi di food delivery a confronto con la necessità di prepararsi un pranzo);
  • una netta separazione tra tempo di lavoro e tempo privato (sì, le video riunioni a volte si tengono ad orari inconsueti e le telefonate dei colleghi possono arrivare già alla mattina presto o la sera tardi).

Gli effetti per i datori di lavoro sono stati enunciati più volte, ma giova ricordarli:

  • anzitutto una diminuzione dei costi vivi (bollette energetiche, costi di climatizzazione, ristorazione aziendale e buona parte dei costi per consumi relativi a servizi usufruiti dai lavoratori in presenza);
  • in taluni casi è stato rilevato un aumento della produttività, probabilmente dovuto alla mancanza di tempi morti (le conversazioni tra colleghi), al senso di responsabilità (o di colpa: quello che ci assale quando, sciolto il vincolo del controllo, anziché darsi alla pazza gioia ci sentiamo in dovere di dimostrare d’essere costantemente “sul pezzo”) ed al maggior numero di ore lavorate.

Tra le conseguenze negative la difficoltà di esercitare il:

  • controllo sui propri collaboratori, salvo l’impiego di software che può essere installato solo sui dispositivi (PC, cellulari e tablet) dati in uso al dipendente per l’esecuzione del proprio lavoro, e solo in presenza di conformità al GDPR, al Codice della Privacy e di una Policy aziendale adeguatamente promossa tra i lavoratori e redatta secondo criteri specifici. Non è applicabile in tutti i casi in cui l’equipaggiamento tecnologico utilizzato è di proprietà del collaboratore;
  • coordinamento delle attività in assenza di adeguati strumenti (non solo telefono o videoconferenza, quindi, ma anche software di collaboration e social, in aggiunta ai già presenti software aziendali).

Dunque, un’esperienza con chiari e scuri, ma ritenuta da buona parte degli interessati complessivamente positiva. Meno positive le valutazioni dei sindaci delle metropoli, delle agenzie immobiliari e degli esercenti che hanno visto svuotarsi i centri storici, ridursi pesantemente il giro d’affari e deprezzarsi il valore degli asset. Aspetti di cui chi governa ai vari livelli non potrà non tenere conto.

Come differisce lo smart working?

In ogni caso sembra che l’esperienza del lavoro a distanza sia destinata a protrarsi ben oltre la scadenza del 15 ottobre, indicata come termine del periodo di emergenza soltanto poco tempo fa, sia per la risalita dei contagi ed il timore degli assembramenti, soprattutto sui trasporti pubblici, che per la volontà delle parti datoriali e dei sindacati di trasformare l’emergenza nell’occasione per definire accordi che consentano di parlare di “smart working” e non solo di lavoro a distanza.

Lo smart working deve quindi passare attraverso una negoziazione tra le parti, sino al singolo lavoratore, di accordi che permettano di coprire gli aspetti sin qui trascurati: dal diritto alla disconnessione alle coperture assicurative, dalle dotazioni indispensabili (incluse la definizione di regole sulla ripartizione dei costi) alla sicurezza, dai criteri di misurazione del lavoro prodotto a nuove regole per il welfare.

Ci prepariamo pertanto ad attraversare una fase di transizione in cui saremo impegnati a configurare la nuova modalità di operare per poter chiamare finalmente “smart” il lavoro svincolato dalla presenza nell’ambiente di lavoro e dagli orari identici per tutti. Tra le caratteristiche, la flessibilità che porterà i singoli lavoratori a concordare la percentuale di lavoro da svolgere in presenza rispetto a quella svolta presso il proprio domicilio o in altro luogo.

Quale contributo può offrire GoodGoing! in questa fase di transizione? A chi è rivolto?

Partiamo dalla fase più ... negoziale: spaziamo dalla consulenza per la formulazione di accordi di lavoro a livello di singolo individuo, di squadra e più su, fino all’intera organizzazione, con il supporto di uno tra i più qualificati studi legali in materia di disciplina del lavoro, alla consulenza per la definizione di nuove modalità di coordinamento e controllo con l’apporto dei nostri consulenti esperti, al coaching individuale e di gruppo per il passaggio da una cultura del controllo ad una della responsabilità individuale, all’individuazione di nuovi strumenti tecnologici per abilitare il cambiamento, ai percorsi di formazione personalizzata usufruibili in qualunque momento da qualsiasi device.

I nostri interlocutori sono nell’ambito del management dell’organizzazione coinvolta nei processi di cambiamento: dal direttore delle risorse umane al CIO, passando per i CEO e COO.

Per qualunque necessità di approfondimento scrivete all’indirizzo di posta elettronica info@goodgoing.it

Informazioni sull'autore
Stefano Carlo Longo
stefano.carlo.longo@goodgoing.it
Stefano Carlo Longo ha una lunga carriera di “innovatore” nel mondo dell’ICT, maturata in funzioni direttive nell’ambito commerciale, del marketing e della consulenza presso alcune tra le più importanti società internazionali, tra cui EY, Atos e Adobe. Co-fondatore di una società di eCommerce dedicata ai vini di alta gamma e investitore in una start up in ambito Mobile Engagement in rapido sviluppo (MobileBridge), ne promuove la presenza presso clienti e partner.

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