5 fasi per un processo di onboarding efficace – Introduzione

Onboarding

Con questo articolo iniziamo una miniserie dedicata a identificare le migliori pratiche e gli errori da evitare in relazione alla ricerca, acquisizione ed integrazione di nuovi collaboratori nelle organizzazioni di ogni genere. Uso il termine collaboratore e non dipendente volutamente, perché nella nostra società le forme di collaborazione hanno assunto colorazioni e modalità così diverse, da rendere limitativo il termine “dipendente”. Oltre a ciò, il termine “dipendente” si addice maggiormente ad una gerarchia rigida, di stampo militaresco, mentre collaboratore identifica una persona che è motivata, lavora al meglio delle proprie capacità, si identifica con la squadra e con l’organizzazione in cui è inserito e contribuisce a stabilire nuovi parametri ed obiettivi per il raggiungimento dell’eccellenza. Inoltre, non parlo a caso di squadra, perché sia che si tratti di un’unità permanente o che si lavori assieme nell’ambito di un progetto, i collaboratori in qualunque forma (dipendenti, collaboratori esterni, agenti, promotori, consulenti ma anche i dipendenti dei fornitori) ed il manager-coach sono, con i loro comportamenti, le competenze, le qualità e i difetti, i fautori del risultato finale della propria organizzazione.

A proposito di quest’ultima definizione: uso il termine organizzazione e non impresa, azienda, o società perché anche questo termine è limitativo: ad esempio nessuno di questi identifica un ente pubblico che, essendo chiamato ad erogare un servizio non a fine di profitto, viene escluso dalle categorie precedenti, e poi non include le cooperative, le ONG, le organizzazioni informali, i partiti politici ed i sindacati, i patronati ecc. Ma gli argomenti che tratterò in questa serie di articoli si attagliano a tutte le tipologie ed ecco dunque la ragione della terminologia applicata.

Completata la premessa, rivolgo l’attenzione all’argomento della nostra miniserie di articoli: l’onboarding, letteralmente “portare a bordo” è il processo d’integrazione di un nuovo dipendente in un'organizzazione, ovvero anche la familiarizzazione di un nuovo cliente con i propri prodotti o servizi. Il termine è molto in voga tra le imprese appartenenti ai settori delle telecomunicazioni e della finanza per quanto riguarda i clienti, ma si applica alle imprese ed agli enti di ogni settore in materia di collaboratori.

Nel nostro caso, consideriamo il processo che supera la fase di reclutamento per guardare ad un orizzonte temporale che copre il primo anno di lavoro e che considera anche la fase precedente all’ingresso, ovvero quella in cui la funzione preposta a questo ruolo farà il possibile per individuare, attrarre e reclutare le persone con le caratteristiche più idonee a rispecchiare il ruolo da ricoprire.

I primi mesi sono fondamentali per evitare che gli sforzi fatti siano vanificati da un abbandono prematuro (il 20% circa dei “reclutati” lascia l’incarico nei primi 45 giorni di lavoro) o dalla scoperta che il candidato non si è rivelato idoneo all’incarico per il quale è stato “portato a bordo” o che, ancora, tra la fase di ricerca e quella di ingresso del nuovo arrivato si sia determinato un cambiamento della situazione tale da compromettere il suo destino (vi assicuro che accade più frequentemente di quanto possiate immaginare).

Nella mia lunga carriera professionale, ho avuto modo di sperimentare diverse condizioni per quanto riguarda l’onboarding così come definito nei paragrafi precedenti: in termini positivi ricordo l’approccio di Origin, società di system integration controllata da Philips, il cui DNA si è perso nei passaggi di proprietà e nelle fusioni (prima con Atos, poi con Sema ed infine con la cessione del ramo italiano ad Engineering S.p.A.).

L’appartenenza ad un gruppo di rilevanza globale come Philips permeava l’organizzazione di Origin, che seppure in Italia avesse una dimensione significativa per il settore, ma non tale da collocarla tra le primissime, funzionava come un’impresa di servizi di alto livello definita da un’offerta che spaziava dalla consulenza di direzione ai servizi gestiti passando per la realizzazione di progetti complessi. I rapporti con la capogruppo erano piuttosto stretti e contribuivano alla solidità finanziaria della società.

Tralasciando in questa sede i motivi che mi portarono ad accettare la proposta di lavoro di Origin, quello che volevo mettere in luce è il fatto che nelle fasi dei colloqui di selezione mi fu dato modo di apprendere parecchie informazioni sulla struttura organizzativa della società, sulle funzioni con le quali avrei interagito una volta a bordo ed incontrare le persone con cui avrei dovuto collaborare. Last but not least mi fu possibile dialogare diffusamente sull’incarico che avrei dovuto ricoprire e sulle aspettative che la società riponeva sul mio inserimento. Questo influenzò positivamente la mia decisione, non facile perché provenivo da un’azienda di maggiori dimensioni e prestigio dove ricoprivo un ruolo non trascurabile.

Ciò detto, se il buongiorno si vede dal mattino, il primo giorno fu decisamente positivo e tale da lasciare un ricordo netto a distanza di anni: dopo essere stato ricevuto dal direttore del personale, fui assegnato ad un ufficio temporaneo e, nell’arco del primo giorno lavorativo furono sbrigati tutti gli adempimenti burocratici. Sempre nel primo giorno:

  • ricevetti il kit di benvenuto, comprendente una bella penna di metallo con il marchio Origin, bloc notes “brandizzati” (lo so, è orribile, ma dire marchiati non è esattamente la stessa cosa), ed un libriccino, che conservo ancora da qualche parte, che illustrava la genesi di Origin, la sua cultura ed i valori che la permeavano;
  • fu ordinato il mio personal computer e, temporaneamente, me ne fu affidato uno di scorta,
  • ebbi accesso alla rete interna ed ai repository delle policy, delle procedure e delle metodologie di lavoro in modo da poterle studiare nei giorni seguenti;
  • mi fu dato un indirizzo e-mail ed ordinati i biglietti da visita;
  • durante la pausa pranzai con il direttore commerciale e, nel pomeriggio, ebbi un primo colloquio con il responsabile della Business Unit alla quale ero stato assegnato per quella che doveva essere una fase transitoria.

Entro la chiusura del giorno ricevevo le istruzioni per andare a ritirare un’auto temporanea presso una grande società di noleggio, da utilizzare per il periodo precedente l’arrivo dell’auto aziendale che avrei dovuto scegliere nei giorni successivi in base alle policy in vigore.

Insomma, un “welcome day” veramente bene organizzato. Ma anche i giorni che seguirono nella prima settimana di lavoro furono bene organizzati, con incontri pianificati secondo una scaletta che mi avrebbe portato ad incontrare tutti i manager di prima linea e le persone con le quali avrei dovuto interagire.

L’unica osservazione che posso fare è la mancanza di un tutor ufficiale per il primo mese di lavoro cui sopperirono, però, con la disponibilità di un manager senior ad assolvere a compiti di guida e familiarizzazione con le pratiche interne, tutt’altro che semplici. La partecipazione ad un paio di corsi interni per neoassunti completò comunque il quadro.

Se questo fu a mio avviso un fulgido esempio di buone pratiche (a proposito: la formazione interna, durante tutto l’arco dei primi dodici mesi fu regolare ed intervallata tra corsi teorici ed esercitazioni pratiche), non posso dire di avere avuto per contro delle esperienze realmente negative presso le altre società nelle quali ho prestato servizio, semmai delle esperienze incomplete perché prive di alcuni degli elementi che hanno reso quella di Origin così positiva, oppure semplicemente una fase di integrazione più affidata al caso, ovvero alla buona volontà di chi dirigeva il mio operato.

Nelle prossime settimane ci soffermeremo sulle 5 fasi del processo di integrazione dei primi dodici mesi:

  1. prima del giorno “uno”,
  2. il primo giorno – agenda e orientamento,
  3. la prima settimana – full immersion
  4. periodo di prova e di incoraggiamento
  5. verso il traguardo del primo anno.

Oltre ad una descrizione delle principali attività, ho previsto di inserire delle check list che potrete confrontare con la vostra, per vedere se, per quanto generica, possa esservi di supporto.

Poi, ça va sans dire, sappiate che Leaplines provvede un supporto completo ai processi di onboarding, con strumenti atti ad attrarre candidati per la vostra ricerca, a gestire il benvenuto, con check list e percorsi formativi per i primi mesi dei nuovi collaboratori.

About the author
Stefano Carlo Longo
stefano.carlo.longo@goodgoing.it
Stefano Carlo Longo has had a long career as an “innovator” in the ICT sector, in management positions in sales, marketing and consultancy with major international companies, including EY, Atos and Adobe. He is the co-founder of an e-commerce company dedicated to luxury wines and is an investor in a rapidly developing start-up in the Mobile Engagement sector (MobileBridge), which he promotes with customers and partners.

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